Squier Precision JV Series 1984

Squier Precision JV Series 1984

 

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All'inizio degli anni 80 la Fender ebbe un'idea rivoluzionaria per l'epoca, era un periodo difficile in quanto i produttori orientali dalla metà degli anni 70 facevano i loro comodi realizzando repliche veramente molto simili per non dire identiche a prezzi veramente molto competitivi, anche perché la produzione era realmente molto valida anche a livello sonoro. Ibanez, Tokai, Greco, Burny, Aria, Fernandes ed altri producevano riproponendo copie di chitarre e bassi delle case americane più blasonate Fender e Gibson in particolare.
Così alla fine del 1980 la Fender intentò una causa per fare rispettare la royality sui suoi prodotti, e nel 1982 diede vita alla produzione della serie giapponese Squier, chitarre e bassi del tutto uguali alla produzione americana almeno a livello estetico.
Nel 1983 la Fender vinse la causa, per cui tutti i produttori giapponesi si dovettero adeguare a produrre strumenti differenti in almeno 12 particolari per rispettare appunto la royality cioè il diritto della casa madre detentrice dei brevetti alla commercializzazione di prodotti originali.
A questo punto se cercavi una copia di un jazz bass di un Precision o di una Telecaster o Stratocaster potevi rivolgerti a Squire che proponeva copie identiche all'originale ad un terzo del prezzo, fabbricate in Giappone e si sa che alla fine degli anni 70 ed inizio 80 di soldini per i musicanti ce n'erano pochi per cui parecchi musicisti in erba, ma anche no, alimentarono il mercato del periodo rivolgendosi a questo nuovo brand giapponese, che si sa: chi si accontenta gode.
Sulla prima serie aleggia una leggenda che la vuole realizzata con pezzi importati dalla fabbrica di Fullerton ormai in dismissione per imminente trasferimento a Corona, leggenda mai confermata da Fender, ma alimentata dagli appassionati di tutto il mondo e che mantiene la quotazione di questi primi strumenti, la serie JV appunto, molto alta.
Che suonino bene e che siano ben fatti è fuori discussione, onestamente ne ho avuti pochi per le mani e devo dire che comunque tutti si sono comportati in maniera veramente egregia sia a livello di suono, che è la cosa più importante, che a livello di finitura, si nota effettivamente una qualità costruttiva di gran lunga superiore alle serie attuali coreane, indonesiane o cinesi, ad oggi possiamo anche dire a ragion veduta, visto che sono passati più di 30 anni, che anche la scelta dei materiali era all'altezza delle aspettative.
I pick up sono dichiarati di produzione americana, ponte e meccaniche erano identiche agli americani sui bassi (almeno quello per l'esportazione) perché nella serie domestic per il mercato interno erano presenti già meccaniche e ponti di concezione più moderna e non delle serie vintage; l'elettronica si presenta diversa rispetto alla produzione americana sia i potenziometri che il condensatore e i fili sono differenti mentre i cablaggi dei pick up sono coerenti con la produzione dell' epoca americana.
Che dire dei legni? Lo shape del body e manico sono coerenti con la produzione dell'epoca americana, ritengo però sia veramente molto difficile che abbiano spedito pezzi dall'America al Giappone per essere assemblati, forse qualcosa all'inizio per avere dei riferimenti come dima di controllo, ma chissà?
I materiali usati sono comunque ottimi, acero e palissandro per il manico (difficile trovare tastiera in acero), le meccaniche sono uguali a quella della serie vintage americana così come il ponte, il battipenna è coerente con quello dell'epoca in quattro strati e gli attacchi per la tracolla pure.
Il Precision in prova è dell' 83-84 e fa parte della serie reissue export, copia fedele del Precision del 62, monta sul manico i classici tasti vintage in acciaio molto sottili, i dots sono in plastica bianca, un sottile strato di palissandro forma la tastiera che termina in un capotasto in plastica, questo dimostra quanto il risparmio fosse essenziale; il body ha una bella verniciatura in tri colour Sunburst ed è veramente ben realizzato (in due pezzi di ontano), il trussrod come da progetto del 62 lo troviamo al tacco del manico regolabile tramite una bella vitona a croce (scomodo in quanto per lavorarci su bisogna smontare il manico).
Sul battipenna tortoise fanno bella mostra i due pomelli per regolazione del volume e tono che però sono differenti da quelli montati sui modelli americani, questi sono un po' più piccoli e stondati.


Risulta uno strumento ben bilanciato e anche abbastanza leggero, il manico un po' cicciotto è come al solito una questione di gusti a chi piace tanto e chi invece preferisce quello snello del fratello minore jazz bass.
Il suono: abbiamo già detto che il pick up è quello americano dell'epoca con i fili che portano ai controlli, ma i potenziometri, il condensatore e cavi vari oltre che l'attacco del jack non sono quelli della serie americana, il suono è potente, corposo, molto medioso se non si aprono i toni, la risposta sia con la tecnica a dita che a plettro o con slap rimane sempre calda; se si apre il controllo del tono, a plettro, diventa molto ringhioso e battente. Ovviamente non è un basso molto versatile in quanto un solo split non può certo cambiare suono più di tanto, ma è il suono del basso, senza fronzoli, un po' grezzo, senza trucco quello che ancora oggi dopo più di 60 anni piace ancora tanto nel rock, nel blues, nella musica moderna e nel metal, quel suono che tutti abbiamo sentito e sentiamo tutti i giorni un po' nasale, morbido, ovattato, ma sempre presente e pronto a legare insieme tutto il resto della band, il suono del precision, sua Maestà.
In conclusione se trovate un modello JV e vi piace la storia e la leggenda che c'è dietro compratelo, ottimo strumento, i giapponesi lavorano bene da sempre, a patto di trovarne uno che non costi un'esagerazione e in buone condizioni, oltre che tutto originale, infatti l'integrità dello strumento ne determinerà anche in futuro il valore a livello collezionistico alimentato dall'alone di leggenda che vi è intorno.

 

 

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